LA NOSTRA STORIA

Locandina Un film di Fernando Trueba. Con Javier Cámara, Nicolas Reyes Cano, Juan Pablo Urrego, Patricia Tamayo, Maria Teresa Barreto, Daniela Abad, Aida Morales. Genere Biografico - Colombia, 2020. Durata 136 minuti circa.La vita di Héctor Abad GómezLa storia di un uomo diviso tra l'amore della sua famiglia e la sua lotta politica ambientata nella Colombia piena di violenza degli ultimi decenni.di Marzia Gandolfi


Trama

Medellín, 1983. Héctor Abad Jr., studente di letteratura a Torino, rientra nella Colombia natale per assistere al congedo 'forzato' del padre dall'insegnamento universitario. Héctor Abad Gómez, medico e attivista colombiano per i diritti umani, è inviso al regime che fa gli interessi di pochi. Durante la cerimonia, il figlio evoca la sua infanzia e quel padre adorabile e ingombrante che gli ha insegnato il valore dell'amore e il rispetto per il prossimo. Tacciato di marxismo e costretto a lasciare la carica accademica, Héctor Abad Gómez si dedica alla politica dove persegue ancora una volta i principi morali che dovrebbero regolare i rapporti tra gli uomini in società. Votato ai suoi bambini e a quelli più sfortunati di Medellín, pagherà cara la sua missione.

Comincia dalla fine, il film di Fernando Trueba, elogio di un padre amorevole ed evocazione della violenza politica nella Colombia degli anni Settanta e Ottanta.

La vita di Héctor Abad Gómez, medico e difensore pugnace dei più poveri, assassinato brutalmente nel 1983 da due sicari del regime, passa per gli occhi meravigliati di suo figlio. Vent'anni anni dopo Héctor Abad Jr. scriverà "L'oblio che saremo", ripercorrendo l'irreprensibile esistenza di suo padre e fornendo l'assist al regista madrileno che compone un'agiografia falsamente leggera, pescando nella memoria di una famiglia e nella relazione ambivalente che lega genitore e figlio.

La nostra storia è il racconto di una tragedia in pieno sole ficcata nel passato prossimo di Medellín, ossessionata dai fantasmi dei suoi eroi dimenticati e abbruttita dalla ferocia dei cartelli della droga. È soprattutto la storia di un uomo eroico costruita, come la sua vita, su un'architettura familiare. La moglie, cinque figlie e un figlio, erano tutto il mondo di Héctor Abad Gómez il cui il gesto familiare si prolungava nel gesto politico.

Opera di fattura classica, solida e onesta, La nostra storia è tuttavia la dimostrazione che la virtù, come sosteneva Kirk Douglas, "non è fotogenica". Non sempre almeno. La regia come l'interpretazione di Javier Cámara, attore almodovariano per eccellenza, dimorano ridondanti, traducendo con sentenze traboccanti ed espressività affettata la dignità di un eroe umile.

Fernando Trueba ha senza dubbio il merito di porsi la questione della bontà che qualche volta può irritare i 'cattivi' e paralizzare i 'buoni', come accade a Héctor Abad Jr. Una pista interessante esplorata a metà che dona al film i momenti più veri. Del resto non è facile mettere in scena un sentimento così assoluto, restituirlo attraverso le immagini e le parole, darle una fisionomia con la performance.

Abad era un uomo buono nella Colombia ultra violenta degli anni Ottanta, un umanista in una megalopoli disumanizzata. Il suo destino come il film che lo svolge ruota intorno a un verso attribuito a Borges ("noi siamo già l'oblio che saremo..."), la 'sentenza' lirica di una morte annunciata. Quella di un uomo militante che nulla ha piegato, né le minacce dei guerriglieri della FARC, né l'esilio nelle Filippine, né i narcotrafficanti. Niente lo ha distolto dal suo dovere di professore, di medico, di padre.

Titolare della cattedra di salute pubblica dell'università di Antioquia e predicatore della prevenzione, amava la filosofia dell'illuminismo, la musica classica e le rose, di cui coltivava appassionato la bellezza. Al cinema gli eroi sono ovunque e quasi sempre super. Fuori dal campo fantastico del blockbuster, sembra invece preferire i personaggi ambigui, tormentati e complessi.

Fernando Trueba illustra la vita di un uomo onesto, rompendo lo schema trito di un Paese raccontato attraverso il prisma dei narcotrafficanti o degli squadroni della morte. Ma non trova la misura giusta per dire il mistero di un pensatore libero che guardava e riguardava "Morte a Venezia", elevando la vita all'altezza di un piano di Visconti.