SANCTUARY

Locandina Un film di Zachary Wigon. Con Margaret Qualley, Christopher Abbott. Genere Drammatico - USA, 2022. Durata 97 minuti circa.Un torbido gioco di sesso, potere e controlloUna stanza d'hotel, un uomo ricchissimo, una donna che forse recita una parte, un gioco al massacro che non farà sconti.di a cura della redazione


Trama

Nella suite di un albergo di lusso si incontrano un uomo sulla trentina e una giovane avvocatessa chiamata per delle verifiche burocratiche sulle abitudini di vita del suo cliente. L'uomo è Hal Porterfield, erede di una catena di alberghi e prossimo amministratore delegato di un impero milionario; la donna si chiama invece Rebecca, è aggressiva e misteriosa, e in realtà è una dominatrice assunta dallo stesso Hal per testare la propria tenuta psicologica sul lavoro. Presto il colloquio rivela la sua natura di finzione, ma anche fuori dalla parte Rebecca non abbandona il serratissimo gioco di maschere e svelamenti, cambiando continuamente i rapporti di forza fra cliente e padrone, dominatore e dominato. Chi la spunterà?

Un solo spazio, un solo tempo, due personaggi, mille ruoli: nonostante la struttura volutamente chiusa e soffocante, Sanctuary allestisce un gioco al massacro che non conosce attimi di tregua e segue l'isterica relazione fra i protagonisti.

Inevitabilmente, la sceneggiatura firmata da Micah Bloomberg affida al ruolo femminile il controllo del gioco, anche se l'unico coltello che si vede nel film è tenuto in mano dalla controparte maschile. Il povero e inutile milionario Hal Porterfield (Christopher Abbott) non può nulla in realtà contro l'uragano che gli piomba (volutamente) in stanza, che ha le sembianze di una Margaret Qualley scatenata e non è mai ciò che sembra, nemmeno quando toglie la parrucca bionda sotto la quale si nasconde o quando ammette di non mentire e (forse) rivela la verità sulla sua vita.


In ballo, tra Hal e Rebecca, ci sono le solite cose per cui la gente si azzuffa da millenni: i soldi e il potere, anche se non per forza in una chiave meramente economica. Per Rebecca il potere su Hal può anche essere semplicemente il potere di dominarne il desiderio o quello di fargli devastare la stanza in cerca di una videocamera che forse nemmeno esiste. Forse.

A contare nel film è la disumanità del confronto fra i due personaggi, la loro reciproca interdipendenza, cosa che dà a Sanctuary una lunga serie di padri nobili, a cominciare dal Kammerspiele per arrivare a un classico come Gli insospettabili (1972) di Mankiewicz (rifatto nel 2007 da Branagh), alla versione corale del dramma da camera Americani di James Foley, ad ancora a un film come Tape (2001) di Linklater, da quale riprende la scelta della stanza d'hotel come set unico.

In realtà, il vero e unico modello del film di Zachary Wigon è come sempre Hitchcock, non fosse altro perché tutta la vicenda del film - e cioè la relazione tra il ricchissimo e terrorizzato Hal e la vorace e irrefrenabile Rebecca, lui rampollo nato per essere schiavo, lei figlia di nessuno diventata bravissima a sbranare quella società che non le hai mai dato nulla - non è che un gigantesco McGuffin.

Il thriller con toni da commedia crudele rilancia per un'ora e mezza lo scontro fra l'uomo e la donna solo per osservare lo spettacolo della loro deflagrazione: da un lato c'è la crisi conclamata del maschio contemporaneo, dall'altro la disperazione vitalistica di una donna sempre in controllo della situazione, con un risultato finale non così scontato come potrebbe sembrare...

Al centro dell'esplosione di Sanctuary c'è naturalmente Margaret Qualley, bellissima e irrefrenabile, ma come già in Stars at Noon di Claire Denis lasciata troppo sola a gigioneggiare in un accumulo di sequenze in cui le parole sparate a raffica sono solo una parte dello spettacolo e il resto è confezionato da una messinscena che non sempre tiene insieme i primissimi piani, gli occhi sgranati, le urla, le risate, la musica a palla, gli squarci visionari, le scene di sesso, le aggressioni, i vani tentativi di fuga e il continuo ritorno al punto di partenza...

Il gioco al massacro allestito da Sanctuary è in definitiva così gratuito e scritto da non risultare mai spontaneo. Colpa anche di uno stile iperconcitato, con il quale Wigon e la direttrice della fotografia Ludovica Isidori fanno di tutto per far capire che se i personaggi del film sono due, i protagonisti sono in realtà tre, dal momento che la macchina da presa è la vera presenza ingombrante del film, a ricordare che quanto il cinema sia da sempre lo spettacolo di un uomo e una donna attratti l'uno dall'altra, a patto di mentire e interpretare una parte...