AMMAZZARE STANCA

Locandina Un film di Daniele Vicari. Con Gabriel Montesi, Vinicio Marchioni, Selene Caramazza, Andrea Fuorto, Thomas Trabacchi, Pier Giorgio Bellocchio, Francesco La Mantia, Vincenzo Zampa, Aglaia Mora, Cristiana Vaccaro, Rocco Papaleo, Georgia Lorusso, Vincenzo Iantorno. Genere Drammatico - Italia, 2025. Durata 129 minuti circa.Ribellarsi al destino criminaleL'autobiografia di un ragazzo che si ribella al suo destino criminale. Si chiama Antonio Zagari e la sua è una storia vera.di Pedro Armocida


Trama

Antonio Zagari, figlio di un boss calabrese trapiantato in Lombardia, capisce di non essere adatto alla malavita: uccidere per lui è fisicamente insostenibile. A poco più di vent'anni, dopo aver ammazzato, rapinato, rapito, finisce in galera. Dove decide di fermare tutto: scrivendo.
A metà degli anni '70, mentre i suoi coetanei si ribellano nelle fabbriche, nelle università, nelle piazze, Antonio lotta contro il padre, e lo farà con una vendetta peggiore della morte.

Vicari è attento a costruire un racconto sulla prima espansione della 'ndrangheta nel profondo Nord, tra i primi movimenti operai e studenteschi, con uno stile mai indulgente sostenuto da una profonda tensione morale.
Ammazzare stanca, liberamente ispirato all'omonimo libro di Antonio Zagari, inizia filologicamente con le sue parole vergate su un quadernetto in carcere. È un flusso di coscienza, tortuoso e tormentato, che ricostruisce gli anni d'oro, chiamiamoli così, dell'emigrazione al Nord delle organizzazioni criminali del Sud. Qui siamo in una famiglia calabrese che vive a Buguggiate nella provincia di Varese ma che ha fortissimi legami con i boss di San Ferdinando, nella piana di Gioia Tauro.
Gabriel Montesi presta al suo protagonista tutta la sua capacità attoriale per interpretare uno spietato esecutore degli ordini criminali paterni. Il suo personaggio però è continuamente percorso da un'insofferenza per quello che, in qualche modo, è costretto a perpetuare (interessante notare gli accenni alla predestinazione e quasi alla mancanza di libero arbitrio per chi nasce in questi contesti anche perché la 'ndrangheta è la più familiare tra le quattro grandi organizzazioni mafiose italiane) fino a che, anche gli assassinii, diventano un peso insostenibile, proprio fisicamente con la repulsione del sangue. Sangue che plasticamente viene evocato anche a pranzo o a cena quando tutta la famiglia si ritrova a mangiare la pasta al sugo di pomodoro rosso 'vivo' e la carne poco cotta con il suo sughetto al sangue. In questo senso Daniele Vicari è molto attento a mettere in scena il lato più politico e antropologico della vicenda (c'è anche il viaggio iniziatico di affiliazione in Calabria) con un'attenzione spasmodica ai dettagli delle relazioni padre-figlio e 'padrini'-figli. Ma anche al ruolo delle donne in una società criminale più che patriarcale. Il personaggio di sua moglie Angela Rallo, a cui presta tutta la complessità necessaria Selene Caramazza, è in questo senso emblematica. In un'ambiguità solo apparente perché per amore, e solo per amore, lei gli rimane legata nonostante tutto, all'inizio magari facendo pure finta di non sapere. Anche perché, uno dei passaggi molto interessanti della storia di questa 'ndrangheta in trasferta, è proprio quello del lavoro 'normale', un altro degli aspetti che deve aver sicuramente affascinato il regista. Le pratiche della famiglia Zagari infatti implicano che, azioni criminali a parte, i suoi membri lavorino normalmente e anche umilmente per dare meno nell'occhio possibile. Siamo negli stessi anni ad esempio del film Netflix di Renato De Maria, Lo spietato con Riccardo Scamarcio, dove un astro nascente della mala lombarda è anche il riflesso della Milano da bere tra macchinoni e lusso. Gli Zagari invece comprano al figlio una Fiat 128 e il ragazzo si vede superare dalle Porsche di chi, in fin dei conti, ha pure meno soldi di loro.
Parallelamente alle dinamiche familiari, Vicari allarga lo sguardo a quelle dell'epoca, inserendo gli echi della ribellione dei coetanei del protagonista nelle fabbriche, nelle università e nelle piazze. Un momento storico in cui il magistero dei padri è stato più contestato e che, probabilmente, favorisce il processo di messa sotto accusa del genitore da parte di Antonio Zagari che si spingerà fino alle estreme conseguenze.
Il regista sceglie di sostenere il suo racconto attraverso uno stile di racconto 'classico', mai adrenalinico o iperbolico, questo per non dare la sponda a possibili romanticizzazioni dei suoi protagonisti con la fascinazione delle loro azioni. Certo è una scelta che, nell'estetica cinematografica contemporanea, spiazza e forse allontana per la sua coerente inattualità ma dà conto perfettamente della posizione morale del suo regista.