BABYTEETH - TUTTI I COLORI DI MILLA

Locandina Un film di Shannon Murphy (I). Con Eliza Scanlen, Michelle Lotters, Toby Wallace, Sora Wakaki, Ben Mendelsohn, Essie Davis, Andrea Demetriades, Emily Barclay, Charles Grounds, Arka Das, Jack Yabsley. Genere Commedia - Australia, USA, 2019. Durata 118 minuti circa.


Trama

Milla, collegiale 15enne, sta contemplando la possibilità di buttarsi sotto la metropolitana quando davanti a lei irrompe Moses, un ventenne senza fissa dimora. È un incontro fatale in molti sensi, perché sia Milla che Moses hanno una certa familiarità con la morte, lei perché gravemente malata, lui perché tossicodipendente. Entrambi provengono da famiglie borghesi che sarebbe errato definire "normali": Anna, la madre di Milla, si impasticca per superare la propria fragilità e la sofferenza per la malattia della figlia, e a fornirle ansiolitici e oppiacei è il marito Henry, psicologo con il proprio set di problematiche da affrontare. La madre di Moses invece ha messo il figlio alla porta, concentrandosi sul fratellino minore Isaac, mentre del padre dei due ragazzi non c'è traccia.
Ma i toni con cui questi personaggi sono raccontati sono ben lontani dalla cupezza e appartengono a quella cinematografia sbullonata down under alla P. J. Hogan di Le nozze di Muriel e Mental.

Per il suo debutto alla regia la giovane australiana Shannon Murphy ha scelto un genere molto frequentato da Hollywood, la cosiddetta "sick lit" per "young adult", che racconta storie d'amore fra giovani almeno uno dei quali soffre di una grave malattia. Ma è il modo Murphy in cui affronta il genere, scardinandolo dal di dentro, a fare la differenza, anche perché né la malattia né la storia d'amore sono l'argomento centrale di Babyteeth, bensì la (in)capacità di ognuno di noi di stare al mondo e il desiderio di crescere oltre la fase infantile dei denti da latte del titolo per affrontare la vita senza darcela a gambe.
La sceneggiatura di Rita Kalnejais, contrariamente ai codici della "sick lit" (e del cinema che ne è derivato) è tutta nel non detto ed evita proclami o monologhi edificanti. Allo stesso modo la regia si muove irrequieta seguendo lo smarrimento dei suoi personaggi, spiazzandoci con prospettive non convenzionali, camminando sul filo del rasoio, sempre a un passo dal cadere nella melassa melodrammatica, e invece alternando momenti esilaranti a pause strazianti. E questa storia che porta sempre con sé l'ombra della morte, fin dalla primissima scena, è imbevuta di aria e di luce, in mezzo a uccelli variopinti e a specchi d'acqua cristallina.
Il copione non può non rimandare al James L. Brooks di Voglia di tenerezza per la capacità di esplicitare la complessità dei rapporti famigliari messi a dura prova dalla malattia senza perdere il gusto della battuta o della gag comica. Come Brooks, Kalnejais scrive i suoi dialoghi in controtempo, e al posto della risposta ovvia fornisce quella un paio di mosse più avanti rispetto alla convenzione letteraria. Murphy fa lo stesso alla regia, spostando sempre un po' in avanti il baricentro delle sue inquadrature.
Babyteeth presuppone intelligenza emotiva da parte dei personaggi in scena, e quattro attori di razza nei ruoli di Milla, Moses e i suoi due genitori sono all'altezza del (difficile) compito. Su tutti però svetta Ben Mendelsohn nel ruolo del padre di Milla, abbastanza ragionevole da arginare faticosamente il caos emotivo che lo circonda, ma non abbastanza impermeabile al dolore per la malattia di sua figlia con cui il legame è tangibile e commovente. Anche i ruoli di contorno sono gestiti con grazia e competenza, in particolare il cammeo di Eugene Gilfedder nei panni dell'insegnante di musica di Milla.
I rimandi al cinema indie americano sono numerosi, a cominciare dal fatto che Moses, come Lloyd Dobler in Non per soldi... ma per amore, rifiuta di accontentarsi di qualcosa che "funziona" secondo gli standard deprimenti del mondo che lo circonda. Ed è precisamente questo che rende anche Milla e la sua famiglia disfunzionale: l'incapacità di piegarsi alla medietà.
Allo stesso modo Shannon Murphy scansa la medietà del genere che ha scelto, pur rimanendo risolutamente accessibile al grande pubblico, per concedersi le necessarie libertà espressive nel raccontare la storia di persone la cui croce e delizia è proprio quella di essere (e comportarsi) fuori dagli schemi. Per questo i personaggi ci vengono presentati in modo ambiguo, sfuggendo alla immediata classificazione del loro ruolo nella (tragi)commedia che segue. E nessuno viene giudicato ma accolto, mentre inciampa e si dibatte fra la luce che acceca e l'ombra che avanza.