Un film di Gianfranco Rosi. Genere Documentario - Italia, 2025. Durata 115 minuti circa.Un viaggio nel tempo e nell'anima di NapoliTra il Golfo e il Vesuvio, Napoli si racconta in bianco e nero: tra storia, archeologia e vita quotidiana, un viaggio nel tempo e nell'anima del territorio.di Giancarlo Zappoli
La Napoli del Vesuvio. La Napoli dei Campi Flegrei con le scosse di terremoto. La Napoli
dei tombaroli. La Napoli degli archeologi. La Napoli di chi fa doposcuola cercando di offrire
il proprio sapere a chi più ne ha bisogno. La Napoli dei marinai siriani in rotta fissa:
Odessa-Napoli e ritorno. La Napoli del centralino dei Vigili del Fuoco e della varia umanità
che ne cerca l'aiuto. La Napoli dello sventramento. La Napoli com'era nella visione di un
Maestro: Roberto Rossellini.
Gianfranco Rosi entra in una Napoli che è al contempo frutto di uno sguardo personale ma
anche messa a disposizione delle diverse sensibilità di coloro che osservano.
C'è una grande varietà di opzioni tra cui lo spettatore è invitato ad aderire in questo film
che si presenta come al contempo (e può sembrare un ossimoro) il più elaborato ma
anche il più libero della pluripremiata filmografia del suo autore. Il più elaborato perché il
regista ha trascorso ampia parte degli ultimi tre anni nel capoluogo campano per cogliere
nel profondo le sensazioni che la città e l'area che la circonda procurano. Il più libero
perché, in questa occasione, non c'era un percorso prefissato attorno a cui muoversi (Il
Grande Raccordo Anulare di Roma), un tema sempre scottante come quello delle
migrazioni con il loro carico di tragedie o i viaggi di un Pontefice.
Qui c'era una città già narrata innumerevoli volte in tutte le espressioni artistiche e spesso
definita attraverso stereotipi non sempre lusinghieri. Rosi sfugge a tutte le innumerevoli
trappole folkloristico-criminal-stigmatizzanti sin dal titolo. "Chisto è o' paese do' sole" viene
così letto sotto quella coltre di nuvole che Jean Cocteau definiva opera del Vesuvio.
Nuvole funzionali anche alle riprese, sempre estremamente rilevanti, di un bianco e nero
che non fa rimpiangere mai, neppure per un'inquadratura, l'assenza del colore.
In questo film, carico di sfumature non solo sul piano cromatico ma anche su quello delle
vite vissute nel presente o nel passato, veniamo invitati ad esplorare suolo e sottosuolo di
un'area carica di storia in cui il tempo finisce con il sospendersi anche mentre continua a
fluire (come ci ricorda l'inquadratura di un vecchio orologio da tavolo).
Rosi ci immerge in una precarietà che appartiene alla Storia (l'eruzione del Vesuvio nel 79
dc) e alle storie del quotidiano con le ripetute scosse nell'area dei Campi Flegrei. Le
telefonate che arrivano al centralino dei Vigili del Fuoco sono la testimonianza più vivace e
vera dell'anima profonda del popolo napoletano declinata in una molteplicità di aspetti.
Rosi ci accompagna nei sotterranei deturpati dai tombaroli così come nello splendore di
una villa a Civita Giuliana che attende di essere messa a disposizione di chi voglia
ammirare il bello. Nel fare ciò non si adagia sugli schemi narrativi del documentario
classico ma va oltre seguendo i propri soggetti per poi lasciarli andare con lo scopo di
tornare a proporceli in una struttura non legata a vincoli o a punti obbligatoriamente fermi.
Non ci sono camorra e stadi pieni di tifosi osannanti qui. Non ci sono spaccio né folklore
per turisti. C'è invece chi si mette a disposizione, con la giusta semplicità necessaria per
farsi ascoltare, per aiutare ragazzini a studiare e a fare i compiti. Ci sono i marinai siriani
che vedono la città partenopea come un luogo sicuro a cui attraccare prima di tornare a
rischiare la vita nel porto di Odessa.
Ad ognuno la transvesuviana visiva di Rosi concede lo spazio per esprimersi e per
riflettere senza mai piangersi addosso. Sempre tenendo presente il potere comunicativo
del cinema che ha bisogno però di cure e di attenzione. Così come ne avrebbe quella sala
fatiscente e diroccata in cui ci propone di fare memoria della settima arte prima che finisca
in un'altra sala (quella del mistero) in cui tutto si confonde offrendo una molteplicità di
motivi di riflessione. Per giungere poi alla sequenza finale che, anche per la sua totale
imprevedibilità, è grande cinema da ogni punto di vista.