RAYA E L'ULTIMO DRAGO

Locandina Un film di Don Hall (II), Carlos López Estrada. Con Awkwafina, Cassie Steele. Genere Animazione - USA, 2021. Durata minuti circa.Una nuova eroina DisneyRaya, una guerriera forte e coraggiosa che sa usare il kung fu per combattere, decide di partire per un viaggio alla ricerca dell'ultimo drago in grado di salvare il regno.di Emanuele Sacchi


Trama

500 anni fa la nazione di Kumandra univa popoli differenti sotto il pacifico presidio dei Draghi. Finché i Druun, entità malvagie, non si sono diffusi tra gli uomini, agevolati dalla loro cupidigia e discordia, finendo per trasformare ogni forma vivente in pietra. Solo il sacrificio dei Draghi permise all'umanità di salvarsi: il segreto del loro potere è rimasto racchiuso in una gemma magica, unica arma di difesa contro i Druun. Oggi Kumandra non esiste più, divisa tra nazioni belligeranti, che corrispondono ad altrettante "parti" del drago: Zanna, Artiglio, Cuore, Dorso e Coda. Raya, principessa di Cuore, prova a tendere la mano verso Namaari, giovane figlia della regina di Zanna, ma la fiducia in quest'ultima porterà a una terribile disgrazia e al ritorno dei Druun.

Benché concepito prima che la pandemia fosse una tragica realtà, Raya e l'ultimo drago sembra il perfetto film Disney per raccontare ciò che l'umanità sta vivendo nel biennio 2020-2021: una drastica riduzione delle nostre libertà e delle nostre gioie, determinata da una causa ignota ma in qualche modo riconducibile a errori umani.

Da Dante Alighieri a oggi è sempre una questione legata alle tre "fiere": lince, leone e lupa - lussuria, superbia e cupidigia - mali oscuri del debole uomo, prima indotto in errore da loro e poi obbligato a pagarne le conseguenze. Una nota malinconica e pessimista accompagna tutto Raya e l'ultimo drago, a partire dall'inizio in medias res, che ci cala in una distopica landa desertica, degna di Mad Max: Fury Road.

Raya è parte Furiosa e parte Max, oltre che Rey di Star Wars: un crocevia di principessa disneyana ed eroina action da post #metoo. Così come Sisu, il drago che finirà per accompagnarla nelle sue avventure, unisce i tratti della tipica spalla disneyana, con lo humour stralunato del genio di Aladdin e l'aria un po' svampita e sopra le righe di Dori da Alla ricerca di Nemo (le fattezze invece tradiscono la somiglianza con Awkwafina, rapper e personaggio mediatico che, nella versione originale, presta la voce al doppiaggio del personaggio).

A emergere come personaggio meglio delineato dalla sceneggiatura è l'antagonista Namaari: la tensione che la dilania, scindendola tra dovere di figlia verso il proprio popolo e aspirazione utopistica legata ai sogni di bambina, è il cuore del film e forse rappresenta la chiave di volta disneyana sul ruolo del nostro fanciullino interiore di fronte all'apocalisse.

Molte influenze, forse troppe, che la sceneggiatura cerca di convogliare in un'eroina postmoderna che fa del sincretismo culturale la sua ragione di vita. Kumandra stessa, utopistico regno di un multiculturalismo di pace e sogno irraggiungibile di Raya, è un miscuglio di Arabia e Cina, screziato di Thailandia grazie al contributo dell'artista e animatrice Fawn Veerasunthorn.

Mentre, insistendo sul gioco dei rimandi cinefili, i frammenti della gemma dotati di un potere incontrollabile ricordano da vicino le Pietre dell'Infinito al centro della saga cinematografica degli Avengers. Forse il monopolio dell'immaginario da parte della Disney significa questo: poter scomporre e ricomporre a piacimento i tasselli di uno storytelling in combinazioni infinite e senza il pericolo di dover pagare i diritti ad alcuno. Se così fosse sarebbe una prospettiva dal dubbio fascino, ma Raya e l'ultimo drago, 59.mo classico Disney della storia, ha il merito di assumere un profilo piuttosto basso e di adattarsi allo spirito del tempo.

A partire dalle vittime dei Druun, umani trasformati in statue di pietra immerse nella desolazione post-apocalittica, che ricordano così da vicino le solitudini ingrigite dell'eterna clausura abbattutasi sul 2020. Il drago Sisu, nonostante una tendenza a stemperare il tutto in battute artificiose, prova in ogni modo a infondere speranza nel genere umano, anche quando tutto sembra volgere verso il peggio. La sua fiducia in quel che ha in serbo il destino si sposa con un percorso di conversione e redenzione tipicamente messianico e tolkieniano, su cui non è lecito anticipare oltre senza guastare l'epilogo del film.