Un film di Alex Garland, Ray Mendoza. Con Joseph Quinn, Kit Connor, Will Poulter, Cosmo Jarvis, Noah Centineo, Michael Gandolfini, Charles Melton, D'Pharaoh Woon-A-Tai, Aaron Mackenzie, Alex Brock, Finn Bennett, Evan Holtzman, Jake Lampert, Aaron Deakins, Henry Zaga, Taylor John Smith, Adain Bradley. Genere Guerra - USA, Gran Bretagna, 2025. Durata 95 minuti circa.Il nuovo progetto di Alex Garland sulla guerra in IraqUn'immersione nella sconvolgente realtà dei conflitti moderni.di Emanuele Sacchi
Iraq, 2006. Un gruppo di Navy Seals statunitensi si rifugia in un'abitazione per studiare le prossime mosse: quando sorge il sospetto di un attacco imminente da parte di una banda armata, i soldati tentano una sortita, ma un'esplosione riduce in fin di vita due di loro.
A breve distanza da Civil War, film che ha scioccato un'America già squassata di suo dalla lotta intestina tra Democratici e Repubblicani, Alex Garland torna su un fronte di guerra. Questa volta si tratta di un conflitto già trascorso, di una pagina oscura della storia americana recente come la guerra in Iraq, mossa da moventi rivelatisi poi falsi e culminata con la destituzione di Saddam Hussein e una sequela di attacchi terroristici. Ma Warfare è totalmente disinteressato al lato strategico o geopolitico dello scontro. L'interesse dei due registi, Garland e Ray Mendoza - un ex Navy Seal che è stato consulente militare di Alex Garland per Civil War - si concentra su un singolo episodio di guerriglia urbana a Ramadi, avvalorato dalle memorie di Mendoza stesso.
Spesso provocatorio nei confronti di una certa american way of life - tanto nella serie DEVS che in Civil War - il cinema senza compromessi di Alex Garland messo all'opera sulla guerra in Iraq poteva generare un certo tipo di aspettative. Chi si attendeva un pamphlet antimilitarista, chi una continuazione del discorso avviato con Civil War. Ma Warfare non è niente di tutto questo, o quantomeno non lo è in maniera canonica.
Dopo anni di film sui retroscena bellici, le giustificazioni, il contrasto tra la vita a casa e quella al fronte, con ritorno e traumi annessi, ecco un film iperrealista, che lascia ogni interpretazione e congettura fuoricampo, per concentrarsi unicamente sull'azione. I cliché del war movie sono evitati per evidenziare solo e soltanto quel che avviene sul campo di battaglia, dove anni di addestramento e chili di testosterone possono essere spazzati via da una granata o da un cecchino in una manciata di secondi. Il ricordo di quanto avvenuto in Iraq a Ray Mendoza diventa quindi per Garland l'opportunità di un'ulteriore indagine sul male profondo che si annida nell'animo di un'America sempre più ferita e perplessa, incapace di rinunciare al proprio ruolo di poliziotto del mondo, ma anche di interrogarsi sulle ragioni che l'hanno resa tale, ormai smarrite in un remoto viale dei ricordi. Non sappiamo nulla dei soldati che vediamo in azione: chi siano, da dove vengono, se sono Repubblicani o Democratici o se tengono famiglia. Ed è importante che non si sappia alcunché: per non essere condizionati quando assistiamo agli atti di violenza, ma soprattutto per comprendere l'assurdità dell'intero contesto. Per i soldati catapultati in Iraq e per le famiglie irachene costrette ad ospitarli ed esporsi a ogni pericolo tutto appare irreale come il set di un videogioco. Si combatte un nemico senza volto, senza sostanzialmente conoscerne il motivo, in un luogo ignoto e ostile. Le premesse per uno sparatutto ci sono, la differenza, non trascurabile, è che le vittime sono reali. Dopo una premessa che è breve ma fondamentale, con i commilitoni intenti a ridere e sbavare di fronte a una clip musicale sexy ("Call on Me" di Eric Prydz), Garland e Mendoza precipitano lo spettatore in un episodio marginale del conflitto iracheno senza fornire spiegazioni, adottando una prospettiva interna ai soldati statunitensi, con un realismo maniacale per il dettaglio tattico (fino all'utilizzo del più oscuro degli acronimi del lingo militare). Immergendosi così profondamente in medias res, lo spettatore si trova privato del contesto e obbligato a porsi domande inedite, immedesimandosi con la condizione dei soldati in difficoltà. L'antica critica del "videogioco già giocato" trova quindi una nuova forma di utilizzo: come virtù, anziché come difetto. Perché per Garland e Mendoza il videogioco-già-giocato-da-qualcuno è l'unica metafora possibile per una tecnica e una tattica di combattimento (il titolo è Warfare, infatti) che hanno rimosso il lato umano fino al puro nonsense.
Quel che resta, una volta terminato il rumore degli spari, è suggerito dall'epilogo: la casa della famiglia irachena che ha ospitato i soldati è distrutta, ridotta in macerie. Senza che nessuno conosca una ragione chiara del perché.