Un film di Steven Soderbergh. Con Lucy Liu, Chris Sullivan, Callina Liang, Eddy Maday, West Mulholland, Julia Fox, Daniel Danielson, Robert Jimenez, Lucas Papaelias, Natalie Woolams-Torres. Genere Horror - USA, 2024. Durata 85 minuti circa.Soderbergh alla regia di un thriller soprannaturaleUna ghost story che fa vivere allo spettatore un'esperienza unica e impressionante.di Emanuele Sacchi
La famiglia di Chris e Blue, figli di una manager in carriera e di un compassato genitore, si trasferisce in una casa in periferia, un edificio ristrutturato che ha almeno un secolo alle spalle. Blue è ancora traumatizzata per la morte di un'amica, mentre Chris mostra scarsa sensibilità nei suoi confronti e cerca di tirar fuori il meglio dalla vita nel nuovo quartiere. Le dinamiche familiari complesse - una madre più affezionata al figlio che alla figlia, dominante verso il marito - si mescolano alla consapevolezza che nella casa si annida una presenza fantasmatica invisibile, dapprima percepita dalla sola Blue ma poi evidente per tutti.
Chi ha paura del film concettuale? Di certo non Steven Soderbergh, che da diverso tempo persegue l'idea di un cinema indipendente che lavori su due livelli: uno di intrattenimento puro, di cui è maestro, che non disdegna incursioni nel genere; e uno che riflette sull'audiovisivo e sulle sue inafferrabili evoluzioni recenti.
Unsane raccontava di uno stalker nella dimensione claustrofobica del formato iPhone, Kimi - scritto insieme a David Koepp come Presence - di un intrigo noir nell'era del Covid e delle intelligenze artificiali. In Presence l'ambito è quello dell'horror soprannaturale, ma la scelta di girare il film interamente in una soggettiva grandangolare, aderendo totalmente al punto di vista del fantasma, è il dispositivo che caratterizza il film e lo rende unico. Non solo perché condiziona la narrazione cinematografica, attraverso la tecnica hitchcockiana di dissolvenze in nero che si traducono in passaggi temporali da un giorno all'altro. Ma perché induce a una riflessione più profonda sulla necessità inesauribile di guardare che affligge la società contemporanea.
La soggettiva del fantasma è anche quella effettivamente di Steven Soderbergh, che in Presence è anche cameraman (sotto pseudonimo) oltre che regista. Ma è anche la soggettiva del cinema, che lavora da sempre sul piano teorico con il fantasmatico e che crea situazioni di finzione di fronte a noi. Ma come si pone questo occhio-macchina da presa rispetto a noi spettatori?
Domina il tempo e lo spazio, come il cinema. Si muove liberamente e senza tagli di montaggio per la casa, come il cinema. Assiste anche ai momenti più intimi di sconosciuti, inclusi i rapporti sessuali, come solo il cinema può fare. Soderbergh ribalta la prospettiva di anni di film su home invasions e case infestate, per girare qualcosa che appartiene a questi sottogeneri e al contempo è poco interessato agli stessi. Chi ha accusato la sceneggiatura di Koepp di essere carente o schematica non ha compreso che il livello lineare della trama è volutamente scarnificato e disossato perché la polpa sta altrove, su quel piano teorico che pochi come Soderbergh hanno il potere di semplificare e avvicinare al pubblico di massa (diversamente da molti autori celebrati dai maggiori festival di cinema).
C'è sì il macguffin, così come il gioco di inganni con lo spettatore con twist finale alla Shyamalan, ma è come se Soderbergh scherzasse con il cliché utilizzandolo sapientemente, pur di raccontare quel che davvero intende comunicare. Il fantasma, che è da sempre un fondamentale elemento del cinematografo, assume molteplici significati: protezione invisibile e ultraterrena di cui necessita una teenager avvenente in questo triste mondo malato; presenza indiscreta e indissolubilmente associata con la soggettiva del regista che è inevitabilmente voyeuristica (e si rifugia nell'armadio come il suo ruolo di "mostro" nel film dell'orrore le impone, da Velluto blu a Babadook). O, forse, concretizzazione della nostra ossessione scopica, che ci sta conducendo in territori psicologici e comportamentali a noi ignoti, che sta evolvendo la specie umana in qualcosa che ancora non comprendiamo e che ci porta a smarrire l'essenza basilare di ciò che, come specie, ci ha condotto fin nel terzo millennio. Tutto questo, e altro ancora, è celato sotto le sembianze di un film di serie B a basso budget. È un'affermazione che può apparire come una ripetizione, specie a così breve distanza da Black Bag, ma non c'è nessuno che abbia compreso il presente, i suoi limiti e i suoi pericoli, come Steven Soderbergh.