Un film di Mehdi Barsaoui. Con Fatma Sfarr, Nidhal Saadi, Yassmine Dimassi, Hela Ayed, Mohamed Ali Ben Jemaa, Ala Benhamad, Saoussen Maalej. Genere Drammatico - Francia, Tunisia, Italia, Qatar, 2024. Durata 123 minuti circa.
Aya ha quasi trent'anni, vive ancora con i genitori nel sud della Tunisia e ogni giorno viaggia su un minivan per raggiungere l'hotel per turisti in cui lavora come cameriera. Sopravvissuta a un incidente ma creduta morta, Aya trova inaspettatamente l'occasione per fuggire. Raggiunta Tunisi, affronta con coraggio una nuova vita con una nuova identità, ma non riesce in realtà a sfuggire al suo destino: testimone infatti di un caso di cronaca che coinvolge la polizia e mette in luce la corruzione del Paese, Aya dovrà trovare la forza di reagire.
Aya è un nome di donna, come anche Amira e ovviamente Aïcha. Tutti e tre appartengono alla protagonista del film, la quale, paradossalmente, ha bisogno di morire per poter cominciare finalmente a vivere.
Ispirata da un fatto di cronaca avvenuto dopo la rivoluzione del 2011, la vicenda porta dentro le contraddizioni della nuova società tunisina, finalmente libera dal giogo del dittatore Ben Ali ma ancora immersa in un clima d'oppressione e corruzione.
«Questo è un Paese spietato», dice ad Aya il poliziotto che indaga sul caso che la vede coinvolta (l'omicidio di un uomo da parte di alcuni poliziotti in borghese, per il quale la ragazza ha inizialmente dato una testimonianza falsa). Spietato, in realtà, soprattutto con le donne come Aya, giovani e in cerca di libertà ma ancora e sempre vittime di arcaiche forme di sfruttamento e di una cultura che intende l'identità come una gabbia.
All'inizio del film Aya è dimessa, silenziosa, passivamente abbandonata alla sua routine, figlia di genitori insensibili, cameriera di un hotel che la sfrutta, amante di un uomo che non lascerà mai la moglie per lei. Una volta fuggita archiviata la sua vita e fuggita a Tunisi, per lei le cose si spostano semplicemente su un piano diverso, imprigionandola ancora in altri ruoli: amante di un piccolo mafioso, innocente creduta colpevole, bella ragazza considerata una prostituta.
Per diventare finalmente sé stessa, secondo la trama un po' troppo programmatica e a tratti poco credibile del film, Aya ha bisogno di liberarsi del proprio nome e dello sguardo degli altri e compiere una scelta che la renda finalmente altro, unica, consapevole, certa del proprio ruolo di donna e cittadina nella nuova società tunisina. Che questa scelta individuale coincida con lo svelamento della verità giudiziaria sul caso in cui Aya è coinvolta (grazie al paradosso di una vita che diventa morte, ribaltando l'idea iniziale del film), è il segno che le intenzioni di Barsaoui sono esplicitamente politiche.
Aïcha è la storia di una presa di coscienza, di un corpo che trova il coraggio di mostrarsi (la bellissima interprete Fatma Sfar nel corso della storia cambia vestiti e acconciature di continuo, liberandosi nel finale di un metaforico velo), di una società che trova la forza di ribellarsi. Lo stile è come da copione piano e classico, la narrazione ampia e meccanica nei suoi colpi di scena, con alcuni personaggi che meritano una punizione e la ottengono (i genitori di Aya), altri che si redimono nel corso del racconto (il poliziotto disilluso che un po' alla volta contribuisce a far emergere la verità) o altri ancora che mostrano da subito una solidarietà naturale (la proprietaria di una panetteria che accoglie Aya come una figlia)...
Tutto, insomma, è evidente, evidenziato, scandito, ma non per questo poco efficace. Semplicemente, senza strafare e senza troppo aspettative (non avrebbe senso tirare in ballo "Il fu Mattia Pascal"...), a volte le storie giuste possono essere raccontate in modi altrettanto giusti, e semplici.