Un film di Dario Argento. Con Michael Brandon, Mimsy Farmer, Jean-Pierre Marielle, Aldo Bufi Landi, Calisto Calisti, Marisa Fabbri, Oreste Lionello, Fabrizio Moroni, Renzo Marignano, Stefano Oppedisano, Corrado Olmi, Sandro Dori, Jacques Stany, Fulvio Mingozzi, Francine Racette, Guerrino Crivello. Genere Giallo - Italia, 1971. Durata 105 minuti circa.Uccidere per legittima difesaAlla ricerca di un assassino vendicativo che prende di mira un ragazzo che ha ucciso per legittima difesa.di Rudy Salvagnini
Roberto Tobias è un componente di un gruppo rock ed è felicemente sposato con Nina, ricca ereditiera. La sua vita è però improvvisamente sconvolta: affronta infatti uno sconosciuto che lo pedina da giorni e, accidentalmente, lo uccide. Spaventato, fugge dalla scena del delitto e torna a casa, ma sa che qualcuno, nascosto dietro una strana maschera, ha visto il delitto. Nei giorni successivi, Roberto riceve messaggi e scopre foto dell'omicidio in mezzo ai suoi dischi: il testimone del delitto pare volerlo ricattare, ma in realtà non gli chiede nulla. Solo, sembra voler rendere la sua vita impossibile. Nina si rende conto che qualcosa non va e lui, messo alle strette, le racconta quello che è successo. Per cercare di venirne fuori, Roberto, su consiglio dell'amico Diomede detto Dio, incarica un investigatore privato di scoprire la verità, ma la situazione si ingarbuglia sempre più e i morti si moltiplicano.
Terzo e conclusivo capitolo della trilogia "animalesca" di Dario Argento, mostra sin dai titoli di testa un autore animato da una spavalda inventiva, con le inquadrature dall'interno della chitarra e la mosca spiaccicata dai piatti della batteria: si nota la voglia di stupire e di innovare.
La qualità della regia resta su livelli di eccellenza per gran parte del film, con un'esuberanza stilistica che valorizza le scene di tensione e fa superare qualche forzatura, inevitabile, della trama. I delitti, che restano il pezzo forte del cinema argentiano, sono tutti girati con abilità e maestria, dando luogo talvolta a citazioni molto appropriate e visivamente efficaci, come il richiamo a Val Lewton nel delitto ambientato nel parco chiuso, con il muro di cinta a separare inesorabilmente la vittima dai possibili soccorritori, al tempo stesso vicini e lontanissimi.
Mirabile è anche, per come è strutturato e presentato, l'assassinio nella metropolitana, tutto giocato attraverso lo sfruttamento visuale dei luoghi - da estremamente popolosi a del tutto solitari - senza l'utilizzo dei dialoghi (se non nella beffarda chiusa), ma solo con la forza evocativa delle immagini. Non mancano anche momenti onirici e surreali, come l'incubo ricorrente della decapitazione che prefigura in modo inquietante la realtà. E anche le iperboli quasi fantascientifiche, come l'utilizzo a fini investigativi dell'immagine impressa nella retina di una delle vittime, sono funzionali e rese credibili dal clima complessivo, da incubo a occhi aperti, in cui è immersa la storia. Argento, con questo film, evidenzia la sua "necessità" autoriale di abbandonare il terreno del thriller razionale per abbracciare quello più emotivo e irrazionale dell'orrore a tutto tondo che, dopo l'ulteriore passo di avvicinamento con Profondo rosso, incontrerà pienamente con Suspiria. Il colpo di scena finale è, per così dire, affetto dai classici psicologismi pretestuosi tipici dello psycho-thriller, ma svolge perfettamente ed efficacemente la sua funzione di rivelazione a sorpresa, dando una chiusa memorabile a una pellicola di notevole suspense e qualità drammatica.
Risulta peraltro un po' stridente, in questo film, la concomitanza di anime che sembrano diverse, con i momenti di suspense che si accompagnano a sequenze che paiono appartenere alla commedia all'italiana del periodo, come nel caso dei siparietti affidati a Bud Spencer e Oreste Lionello, peraltro ben scritti e interpretati, o nella piuttosto banale macchietta del postino: tutti elementi che sembrano voler stemperare i toni, probabilmente in modo da enfatizzare maggiormente i momenti di tensione. Anche la figura dell'investigatore privato gay che non ha mai risolto un caso e sembra quasi vantarsene è giocata sul filo dell'umorismo, retta molto bene dalla sottile interpretazione di un grande attore come Jean-Pierre Marielle, che evita di ridurre a stereotipo il suo personaggio. Se Michael Brandon è un protagonista un po' inerte, infatti, il film è sorretto da un buon cast di contorno. Oltre ai già citati, si devono segnalare le incisive prove della sempre brava Mimsy Farmer, icona del thriller-horror di quegli anni, e di Francine Racette, futura moglie di Donald Sutherland, nei panni dell'avvenente cugina di Nina.