Un film di Joshua Oppenheimer. Con Tilda Swinton, George MacKay, Moses Ingram, Bronagh Gallagher, Tim McInnerny, Lennie James, Michael Shannon (II), Danielle Ryan. Genere Drammatico - Danimarca, Irlanda, Germania, Italia, Gran Bretagna, USA, Svezia, 2024. Durata 148 minuti circa.Tra musical e dramma post-apocalittico, il film di Joshua Oppenheimer mette in scena la deriva dell'umanitàDopo decenni di solitudine, una famiglia benestante che vive in una miniera di sale entra in contatto con una ragazza sconosciuta.di Roberto Manassero
Anni dopo una catastrofe climatica che ha estinto la vita sulla Terra, una famiglia di ex capitani d'industria vive ancora nel bunker sotterraneo dentro il quale si è rifugiata per sopravvivere. In un ambiente elegante e confortevole, la Madre, il Padre, un'amica di famiglia, il maggiordomo, il medico e una cameriera si occupano principalmente dell'educazione del Figlio, che ha una ventina d'anni e non ha mai conosciuto la vita di prima. L'arrivo di una ragazza da fuori, sopravvissuta al tentativo della sua famiglia di raggiungere il bunker, porta scompiglio. Il Figlio comincia a fare domande ai genitori sul senso della loro vita e sulle loro responsabilità nel disastro. Come difendere, dunque, un mondo strenuamente costruito?
Joshua Oppenheimer, autore di uno dei documentari più scioccanti degli anni Duemila (L'atto di uccidere), esordisce nel cinema di finzione con un musical che immagina un'umanità oltre la fine del mondo, condannata a vivere senza prospettive.
The End è l'ennesimo prodotto di una società che sa pensare a sé stessa solamente nei termini di una continua, ormai stucchevole distopia. Come ha dichiarato il suo regista, nasce soprattutto dall'esperienza collettiva del lockdown dovuto alla pandemia di COVID e s'interroga sull'ossessione tutta contemporanea per la sicurezza, per la salvaguardia dei privilegi, mostrando personaggi che hanno rimosso traumi e responsabilità in nome della sopravvivenza.
La sua particolarità più evidente è quella di essere un musical in stile Broadway: le canzoni scritte dallo stesso Oppenheimer e musicate da Joshua Schmidt (compositore all'esordio nel cinema) sono eseguite dagli interpreti senza essere cantate ma piuttosto recitate. Tilda Swinton è la Madre, ex ballerina che tiene più di ogni cosa alla conservazione del suo mondo chiuso e in costante pericolo («Ogni macchia che ignoriamo è il segno della nostra resa», dice spiegando la pignoleria con cui cura l'ordine della casa e rende ogni giorno uguale a quello precedente); Michael Shannon è l'ex patriarca che ammette di aver contribuito al surriscaldamento globale, ma che al Figlio (George MacKay) a cui fa scrivere la sua biografia nasconde i propri misfatti; il Figlio, dal canto suo, non si è mai affacciato alla vita o alla natura, la morte la conosce solo dai racconti delle poche persone che ha mai conosciuto (l'amica della madre, ad esempio, che ha perso il marito per malattia) e quando incontra l'altro sesso, nella forma della Ragazza (Moses Ingram), se ne innamora senza attrazione sessuale e solo come atto di conoscenza.
I personaggi chiave del film rimangono significativamente senza nome, come a indicare una condizione universale dell'essere umano o, letteralmente, le ultime persone esistenti sulla Terra: non tanto, o non solo, gli unici sopravvissuti, ma quelli che hanno fatto di tutto per essere gli unici a sopravvivere.
L'assenza di una colpa o la sua rimozione da parte degli adulti - che anni prima hanno chiuso ad altri possibili ospiti le porte del loro rifugio sotterraneo, e non se ne sono mai pentiti (e se hanno incubi notturni fanno finta di niente) - e all'opposto la nascita di una coscienza diversa nei giovani (soprattutto nel Figlio, grazie alla presenza della Ragazza) segnano i due poli del conflitto generazione alla base di The End.
Eppure, nelle due ore e un quarto di visione (troppe ma in qualche modo funzionali alla rappresentazione un mondo condannato a ripetere sé stesso per esistere), il dramma non esplode mai: è sempre a un passo, sempre possibile, ma mai raggiunto. Niente deflagra, in The End; nessuna possibile trama arriva a decollare.
E proprio questo aspetto - proprio per questa medietà di tono e di colori che non muta mai - più della componente musicale del film (che ha comunque momenti molto belli) va considerata la sua coraggiosa, benché monocorde, decisione di rappresentare una società umana ridotta all'osso e giunta ben oltre la sua fine. Una società che procede senza futuro, diretta verso il nulla.
Immerso in atmosfere stranianti per eleganza e composizione figurativa - merito della scenografa Jette Lehmann e della costumista Frauke Firl, entrambe collaboratrici di von Trier (e si vede) per Antichrist e Melancholia - The End sfiora a più riprese il kitsch per come cerca di dare forma simbolica allo spirito millenaristico di cui è imbevuto. Gli ambienti e le atmosfere ricordano titoli recenti come A Murder at the End of the World, Il mondo dietro di te o gli incubi narrativi sulla fine dell'umanità da The Last of Us in giù; il ritmo laconico e compassato di Oppenheimer appartiene però a una visione d'autore che ricorda piuttosto il mondo sotterraneo di Fantastic Mr. Fox di Wes Anderson e che alla maniera di L'atto di uccidere cerca un doppio livello di rappresentazione (qui il realismo opposto al musical, là il reenactment opposto alla memoria) per raccontare la fine del mondo come un dramma familiare senza pathos. Un nascondiglio oscuro, protettivo, paradossalmente confortevole, che si pone come unica alternativa all'estinzione. In attesa di una bella morte che prima o poi arriverà.
The End non sarà un film particolarmente appassionante, ma è senza subbio coerente. E forse ci dice, non tanto chi saremo o chi potremmo essere, ma chi siamo.