LETTERA A FRANCO

Locandina Un film di Alejandro Amenábar. Con Eduard Fernández, Karra Elejalde, Nathalie Poza, Maarten Dannenberg, Luis Zahera, Patricia López Arnaiz, Luka Peros, Inma Cuevas, Luis Callejo, Luis Bermejo, Santi Prego, Ainhoa Santamaría. Genere Drammatico - Spagna, 2019. Durata 107 minuti circa.La guerra civile spagnolaLa vera storia dello scrittore Miguel Unamuno, inizialmente a favore di Franco, cambiò totalmente idea rischiando la vita per seguire i suoi ideali.di Roberto Manassero


Trama

Dopo il colpo di stato spagnolo del luglio 1936, il rettore dell'Università di Salamanca Miguel de Unamuno appoggia il ritorno all'ordine favorito dai militari e si scontra con i colleghi e amici Atiliano, pastore evangelista, e Salvador, membro del Partito socialista. Mentre dal Marocco il generale Franco si appresta a diventare il leader delle forze nazionaliste impegnate nella guerra civile, Unamano viene prima rimosso dalla sua carica dal governo repubblicano e poi reintrodotto dai golpisti e incaricato dal generale José Millán-Astray di redigerne il manifesto. Con l'arresto dei suoi amici, però, l'anziano intellettuale matura la presa di coscienza e al momento di celebrare l'ingresso di Franco a Salamanca saprà opporsi al nascente regime fascista.

Alejandro Amenábar ricostruisce una fase cruciale della storia spagnola del Novecento dal punto di vista di un anziano pensatore convinto di poter esprimere liberamente il proprio pensiero, ma schiacciato dalla macchina propagandistica.

È sempre difficile - ma inevitabile, nel caso del cinema pensato per il grande pubblico - mettere in scena la Storia con esattezza, incanalando in una narrazione coerente e progressiva le spinte, le contraddizioni e le sovrapposizioni degli eventi passati. Lettera a Franco, che nel 2019 ha segnato il ritorno di Alejandro Amenábar in Spagna quattordici anni dopo Mare dentro, racconta la genesi della guerra civile spagnola con un approccio il più analitico possibile, attraverso la vicenda biografica di un'illustre figura della cultura dell'epoca, per molti il più grande poeta del Novecento con l'amico Federico García Lorca (ucciso dai falangisti proprio nei giorni del golpe).
La sceneggiatura scritta con Alejandro Hernández cerca il più possibile la distanza dai fatti, in una prospettiva che se non è propriamente revisionista fa di tutto per replicare la visione dello stesso Miguel de Unamuno, equidistante da entrambe le posizioni in lotta dopo aver sconfessato la parte golpista inizialmente abbracciata. È noto che prima di morire d'infarto in seguito ai fatti raccontati dal film, il professore e poeta disse che la guerra civile era per il suo paese una «barbarie unanime»: «Eccola», scirsse, «la mia povera Spagna, si sta dissanguando, rovinando, avvelenando e instupidendo...».
Colpisce, in Lettera a Franco, il modo in cui è rappresentato il generale Franco, futuro caudillo inizialmente riluttante di fronte all'enormità del potere che avrebbe riunito nelle sue mani: il ritratto è quello di un uomo piccolo piccolo, quasi impaurito e passivo, laddove il futuro responsabile della propaganda monarchica, José Millán-Astray, è dipinto come il vero artefice delle azioni dell'esercito, con alle spalle gli ispiratori nazisti.
Amenabar non vuole tanto riflettere sulle forze in guerra e sulla fine del progetto repubblicano a opera delle forze fasciste, ma sulla responsabilità individuale di fronte all'incidere della Storia, in una prospettiva individualista e astorica (nonostante il tema) tipica della nostra epoca. Il problema della sua impostazione è soprattutto di natura stilistica (per non dire cinematografica), dal momento che l'impaginazione anonima, la ricostruzione storica accurata ma fredda e il passo romanzesco del racconto, più che privilegiare uno sguardo soggettivo, creano al contrario l'impressione di un discorso oggettivo, storicistico, facile da scambiare per documentato e autentico.
Della complessità di una vicenda che avrebbe condotto la Spagna verso un regime fascista responsabile per i successivi quarant'anni dell'isolamento e dell'arretratezza del paese, il film non riporta in realtà quasi nulla, privilegiando la tragedia individuale a quella collettiva. Il ritratto di Unamuno è unidimensionale, la sua parabola dall'adesione all'opposizione al regime è quella tipica di un eroe riluttante (in questo senso quasi un doppio di Franco...), mentre le contraddizioni dell'uomo e dell'intellettuale sono dichiarate in modo didascalico, "recitate" dal testo, mai lasciate in carico alle immagini, che sono al servizio della ricostruzione e della recitazione (notevole in tal senso la prova del veterano Karra Elejalde).
In patria il film è stato accusato di imprecisione storiche (necessarie come sempre alle necessità drammatiche della trama) e attaccato dalla destra per il ritratto eccessivamente negativo di Millán-Astray. La cosa più grave, però, al di là dell'anonimità del prodotto da parte di un regista un tempo promettente, è quella di aver ripreso la lezione conciliante di Unamano - che all'epoca invitava al dialogo gli hunos con gli hotros - togliendola dal suo contesto e proiettandola nel futuro della Spagna, come se la guerra civile fosse stata voluta da entrambe le parti. Se non è revisionismo, è una semplificazione difficile da condividere.