LA TRAMA FENICIA

Locandina Un film di Wes Anderson. Con Benicio Del Toro, Mia Threapleton, Michael Cera, Riz Ahmed, Tom Hanks, Bryan Cranston, Mathieu Amalric, Richard Ayoade, Jeffrey Wright, Scarlett Johansson, Benedict Cumberbatch, Rupert Friend, Hope Davis, Charlotte Gainsbourg, Jason Watkins, Antonia Desplat, Max Mauff, Kit Rakusen, Hector Bateman-Harden, Stéphane Bak, Mohamed Belhadjine, Philipp Droste, Jaime Ferkic, Tonio Arango, Imad Mardnli, Edward Hyland, Imke Büchel, Jonathan Wirtz, Ethan Hawke. Genere Azione - USA, 2025. Durata 105 minuti circa.


Trama

Anatole «Zsa-zsa» Korda, magnate quasi immortale, colleziona nemici e incidenti aerei, a cui sopravvive a dispetto dei suoi sabotatori. In un clima da predazione capitalistica e di morte prossima, Korda mette in ordine i suoi affari e decide di lasciare la sua immensa fortuna a sua figlia, novizia imperturbabile, con pipa e rosario, a un passo dai voti. Salvo che il nostro ha altri nove figli, tutti maschi, che non ha il tempo o il desiderio di amare. La presenza di Liesl, che accetta il lavoro di ereditiera provvisoria nel tentativo di identificare l'assassino di sua madre, cambierà le carte in tavola e il destino di un padre imbarcato in un rocambolesco progetto industriale.

La trama fenicia non rappresenta una rivoluzione per Wes Anderson, una constatazione che però non dà ragione ai detrattori e alle riduzioni schematiche, perché la sua estetica è sempre stata al servizio di uno scopo, di un modo di raccontare il mondo.

L'armonia delle sue simmetrie, la colorimetria che esclude i bianchi squillanti e i neri profondi, il giallo, che qui come in Grand Budapest Hotel o Fantastic Mr. Fox gli permette di enfatizzare un'epoca e di correggere la gioia o il calore che gli viene spontaneamente attribuito, la teatralizzazione del cinema, la tipografia - cartelli di lettere disegnate, calligrafate o cucite -, i paesi immaginari e lo spirito rétro, che non contempla cellulare e intelligenza artificiale, ci fanno rimpiangere ancora una volta di non avere abbastanza occhi per divorare tutta la bellezza, le invenzioni, i momenti sospesi.

A chi conosce la filmografia di Anderson, La trama fenicia sembrerà sorprendente a metà ma è proprio questa la sua forza: coniugare il vecchio col nuovo per offrire una storia che esplora situazioni familiari attraverso temi inediti e un tema ricorrente. Perché la morte è dappertutto nell'opera di Wes Anderson, e più di ogni altra cosa nella sua messa in scena, che è primariamente una natura morta. Fino ad oggi era stata trattata come evento liberatorio, mai come punizione finale.

Qui si abbina a un immaginario più cupo, incorporando un lessico visivo proprio della religione cristiana e una violenza più grafica. Il protagonista, eroe bastardo, passa l'intero film a fuggire la morte, incarnata in maniera più letterale e in un aldilà in bianco e nero, un Giudizio Universale in cui siedono Charlotte Gainsbourg e Bill Murray.

Una certa idea dell'inferno che conferisce al film un aspetto splendidamente assurdo ma pure una maniera molto seria di interrogarsi. "Chi colmerà il gap?" si domanda « Zsa-zsa » Korda davanti a binari spezzati, una ferrovia che ha perso il collegamento tra il suo inizio e la sua fine. Il divario da colmare non è solo una questione di soldi, ma una questione vitale per un personaggio che non può morire prima di riparare un danno e ridurre la distanza tra sé e la sua famiglia.

L'approccio metodico, che si traduce sempre in estetica splendente e ridondanza, innesca questa volta un ritmo più frenetico e un racconto quasi orientato all'azione, fluido, dove le battute volano come proiettili e le situazioni si susseguono come un caotico giro del mondo.

La trama fenicia è uno strano viaggio in un deserto andersoniano sorprendentemente pieno, una favola anticapitalista che ha il suo centro nevralgico nella relazione padre-figlia. Una coppia dal debutto incerto, dove la fiducia si guadagna dolcemente e il carattere passa tutto dai costumi disegnati da Milena Canonero. La loro dualità si esprime in un'opposizione franca, abiti eleganti dai motivi complessi per Benicio del Toro, superbo e minerale, e abito religioso e bianco rigoroso per Mia Threapleton, contaminato progressivamente dagli accessori di lusso offerti da un padre impossibile. Le trame gessate delle stoffe di Korda prolungano quel puzzle narrativo che sembra diventato la principale ossessione di Wes Anderson.

L'idea del film a segmenti, le storie di famiglie disfunzionali, l'ensemble stellare, La trama fenicia è un film inconfondibilmente suo, non influenzato dall'industria e da un pubblico sempre meno permissivo nei confronti di autori che rivendicano una imperturbabile marginalità. A immagine del suo eroe, l'autore sopravvive a ogni tentativo di sabotaggio e a un cinema fracassone sempre meno inventivo.

Dietro la dose di artificio e di toccante pudore, Anderson prosegue il viaggio e continua a commuoverci, perché, contro ogni previsione, il "progetto di costruzione più importante" della vita del protagonista, quello che ispira il titolo e che metterà in disaccordo un cast di stelle, diventa sua figlia.

Più lineare di The French Dispatch e di Asteroid City, La trama fenicia è una sorta di Tintin nel paese dei capitalisti e nel regno della Grande Fenicia, luogo immaginario quanto la nazione di Zubrowka in Grand Budapest Hotel.

A caccia di denaro per salvare un progetto faraonico e la sua pelle, Anatole « Zsa-zsa » Korda è l'ennesimo adulto perduto di Anderson alle prese con una 'bambina' troppo seriosa ma vera come il Renoir appeso in camera sua. In fondo a un percorso a ostacoli, tra investitori, terroristi cortesi, parenti terribili e pezzi grossi di un consorzio di Sacramento, lo attende la riconciliazione e una ricetta per la felicità: rinunciare all'oro, bere whisky, giocare a carte, ascoltare Bach e vedere i propri figli crescere. In (buona) sostanza, vivere. E vivere significa imparare a morire bene.