THE LEGEND OF OCHI

Locandina Un film di Isaiah Saxon. Con Helena Zengel, Willem Dafoe, Emily Watson, Finn Wolfhard, Puiu Mircea Lascus, Razvan Stoica, Carol Bors, David Andrei Baltatu, Gabriel Spahiu. Genere Avventura - USA, 2025. Durata 96 minuti circa.Un fantasy epicoUna giovane ragazza che scappa di casa, impara a comunicare con una specie animale apparentemente poco socievole, conosciuta come Ochi.di Andrea Fornasiero


Trama

In un piccolo villaggio della fittizia isola di Carpathia il tempo sembra essersi fermato e la vita scorre seguendo ancora ritmi rurali, disturbati solo da qualche automobile. Sull'isola vivono gli ochi, una specie di primati dal pelo bluastro e capace di comunicare con versi dalla strana musicalità. Gli uomini li cacciano da sempre e l'attuale capo dei cacciatori è Maxim, il padre di Yuri, una ragazzina introversa che si sfoga solo ascoltando la musica black metal degli Hell Throne. Quando trova un cucciolo ferito di ochi decide di accudirlo di nascosto e poi di aiutarlo a tornare a casa e ritrovare sua madre. Lungo il cammino realizzerà di saper comunicare con lui e ritroverà a sua volta la madre, che si era separata dal marito dopo una orrenda lite. Maxim si metterà però sulle tracce della figlia, insieme ad alcuni cacciatori bambini, tra cui Dasha, il fratello adottivo di Yuri.

Una fiaba realizzata con la magia vintage di un cinema dagli effetti speciali in larghissima parte analogici: animatronic, pittura matte e pupazzi. Straordinario il lavoro anche sulla colonna sonora, peccato il racconto sia a tratti stereotipato e a tratti stridente.

La storia non è nulla di nuovo e non basta che il regista esordiente Isaiah Saxon citi nelle interviste E.T. e i film di Miyazaki per ritrovarne la magia. Il film infatti affianca alla basilare storia il costante tentativo di renderla originale con stacchi improvvisi di montaggio e personaggi strambi, ma il risultato è una continua strizzata d'occhio postmoderna, quasi Saxon e la produzione A24 non credessero alla forza di un film semplice e cercassero la complicità dello spettatore smaliziato. Inoltre la fiaba, pur con personaggi dalle pulsioni negative, manca di un vero cuore oscuro, di un senso di reale minaccia (che invece, per esempio, non mancava in Labyrinth) e infatti si scioglie nel più disneyano dei luoghi comuni. Tutto in La leggenda di Ochi è semplicemente troppo caricato, ma allo stesso tempo è anche troppo convenzionale per funzionare come film per adulti. Il risultato è un'opera senz'altro ammirevole dal punto di vista artigianale e musicale che resta però lettera morta da quello emotivo.

Il cast fa del suo meglio, capitanato dalla giovane Helena Zengel, che aveva travolto il mondo del cinema da festival per la sua indomabile performance in System Crasher, film che infatti ha portato il regista a sceglierla per la parte. Willem Dafoe si trova come al solito perfettamente a suo agio in un personaggio stralunato, bizzarro ma pure sofferente, mentre Emily Watson ha una parte che lo stesso regista definisce quasi da maestra Jedi, pure nel suo caso però non priva di inconsulti scatti violenti o di parole affilate. Piuttosto superflua poi la presenza di Finn Wolfhard da Stranger Things, di certo un nome di richiamo per il pubblico più giovane, ma in un ruolo che era stato pensato per essere affidato a un ragazzo rumeno non professionista, una piccola parte dove un volto così noto non solo è inutile ma costituisce una dannosa distrazione.

Se il film non riesce a essere coerente nella scrittura, è però perfetto nella realizzazione artigianale, sia per la meravigliosa animazione degli ochi, sia per il lavoro sui set. Il cucciolo è un animatronic controllato da vari tecnici, un po' come il Grogu di The Mandalorian per citare l'esempio più recente, mentre gli adulti sono interpretati da attori in una tuta, come nei capitoli originali di Il pianeta delle scimmie, ma per i primi piani sono state usati di nuovo delle teste animatroniche, garantendo una recitazione molto espressiva. Inoltre l'uso della pittura matte, per trasformare gli sfondi ritoccando direttamente i fotogrammi, anziché ricorrendo alla più fredda computer graphic del green screen, garantisce un risultato magico, vagamente surreale, anche grazie all'uso delle luci di Evan Prosofsky. La colonna sonora poi, firmata da David Longstreth, inizia con un crescendo che fa ripensare a Das Rheingold di Wagner e continua a essere molto presente nel film, dando alla pellicola un incedere sinfonica. Per i suoni delle creature, infine, ci si è affidati per il 90% a un cantante dalla voce unica, mixandola a suoni di uccelli. Uno sforzo produttivo davvero meticoloso, un atto d'amore per il cinema analogico, per il fantastico su pellicola come non se ne vedevano da tempo, che avrebbe meritato una narrazione più solida, ma che rimane encomiabile.