THE NORTHMAN

Locandina Un film di Robert Eggers. Con Alexander Skarsgård, Nicole Kidman, Claes Bang, Anya Taylor-Joy, Gustav Lindh, Ethan Hawke, Björk, Willem Dafoe, Elliott Rose, Phill Martin, Eldar Skar, Olwen Fouere, Edgar Abram, Jack Gassmann, Ingvar Eggert Sigurðsson, Oscar Novak, Jack Walsh (II), Katie Pattinson, Andrea O'Neill. Genere Thriller - USA, 2022. Durata 138 minuti circa.


Trama

Hrafnsey, X secolo d.C. In un regno del Nord Europa Amleth, figlio del re Aurvandil, assiste all'agguato in cui muore il padre per mano di suo fratello Fjölnir. L'usurpatore del trono prende in sposa Gudrun, la madre di Amleth, mentre il ragazzo riesce a fuggire e mettersi in salvo. Anni dopo, Amleth è cresciuto: diventato un berserker, guerriero implacabile e animalesco, conosce solo uno scopo per la sua vita: vendicare il padre, salvare la madre, uccidere lo zio.

Per il suo terzo lungometraggio Robert Eggers si rifà alla storia medievale del principe normanno Amleto, ossessionato dalla vendetta. Un testo adattato prima da Saxo Grammaticus e poi trasfigurato in tragedia da William Shakespeare, con gli esiti che ben conosciamo.



Non c'è traccia di Rosencrantz e Guildenstern né di Orazio e Ofelia quindi in The Northman, che si concentra unicamente sulla violenta rivincita di Amleto, contestualizzandola in un verosimile regno vichingo, regolato da tradizioni brutali e intimorito da poteri arcani. Un affresco gigantesco, curato in ogni minimo dettaglio, in cui Eggers si interroga - come in The Lighthouse - sull'elemento ferino insito nella mascolinità e sui suoi riti di passaggio, e - come in The Vvitch - sul confine tra magico e terreno, una zona grigia in cui è la percezione soggettiva a determinare la verità di quel che si osserva. Quest'ultima si rivela ancora una volta la maggiore forza del regista, la capacità di porre uno straordinario gusto visivo al servizio di competizioni di virilità che mescolano machismo e tendenze omoerotiche.

In The Northman sono due i momenti chiave di questo genere: da un lato il rituale dei "cani che vogliono diventare uomini" - guidato da un Willem Dafoe, incrocio tra il giullare Yorick e uno sciamano, sempre più invasato ed eccessivo - in cui la presa di coscienza del lupo interiore - con una risposta pavloviana a base di rutti o peti - è l'unico modo per affrontare un mondo normato dalla legge del più forte, di spirito e/o di muscoli. Dall'altro la competizione in un torneo sportivo che pare un incrocio tra hockey e pallamano in cui la violenza di Rollerball o del calcio fiorentino trasformano la contesa in gara di sopravvivenza.

Distaccandosi nettamente dalla sovrastruttura shakespeariana della storia e tornando all'osso della vicenda originaria di Amleto, Eggers tratteggia un universo totalmente amorale, dove la vendetta è un'ossessione a cui è impossibile sfuggire perché legata a un imprinting paterno. Anche di fronte a una verità alternativa a quella in cui ha sempre creduto, per Amleth non è possibile rinascere e ripensarsi: lui è vendetta. Quando è morto re Aurvandil, è morto anche lo spirito di un ragazzino, impossibilitato a divenire altro che un carnefice.

Disinteressato alle conseguenze di quanto mostra al proprio pubblico, Eggers persegue il suo scopo con la medesima ossessione del suo protagonista. La potenza visiva e l'escalation di sangue restano mirabili, benché prevedibili e inserite nella consueta logica da videogame, fatta di momenti gradualmente rivelatori - gli incontri con sciamani o veggenti, tra cui una suggestiva Björk, lontana dallo schermo da Dancer in the Dark - e di prove da affrontare per arrivare all'"ultimo livello", già scritto e immaginato fin dal principio e, quindi, fatalmente déjà vu nel suo manifestarsi.

Nel calderone di richiami storici o visivi Eggers inserisce una confusa contrapposizione tra paganesimo e cristianesimo, appena accennata, e sfiora riflessioni sul libero arbitrio, servendosi di immagini che rimandano tanto ai rituali di Midsommar di Ari Aster che alla carneficina di Valhalla Rising di Nicholas Winding Refn. Proprio quest'ultimo appare come il termine di paragone più ingombrante per The Northman, somigliante sul lato fenotipico - un vichingo indistruttibile e vendicatore, un'estetica cruda non priva di slanci mistici - ma ellittico e misterioso dove Eggers invece predilige la compiutezza e l'autoevidenza narrativa. L'epilogo a lungo atteso, preceduto da una sequenza sui dubbi di Amleth che si svolge su un vascello dagli sfondi troppo evidentemente digitali, non aiuta.

In ultima analisi, The Northman è uno spettacolo mirabile e tonitruante, che avrebbe voluto e potuto significare molto di più, ma stupisce assai meno dei precedenti lavori di Eggers, forse smarritosi nella propria compiaciuta autoindulgenza.