PINK FLOYD A POMPEII - MCMLXXII

Locandina Un film di Adrian Maben. Con Pink Floyd, David Gilmour, Nick Mason, Roger Waters, Richard Wright (III). Genere Documentario - Francia, 1972. Durata 85 minuti circa.Un documento raro e unico dei Pink Floyd dal vivoNel 1971 i Pink Floyd, in rampa di lancio verso la consacrazione mondiale, furono la prima band a suonare a Pompei.di Emanuele Sacchi


Trama

Nel 1971 Adrian Maben ha a disposizione le rovine di Pompei per sei giorni, in cui girare le scene di un film-concerto dei Pink Floyd. Una sfida titanica. Nell'anfiteatro della città sepolta e incredibilmente conservata suona l'unica band che ha legittimità di farlo, senza sentirsi fuori posto: i Pink Floyd del 1971, espressione di una musica mai sentita prima, sperimentale e ambiziosa. È l'istantanea di un gruppo all'apice della sua creatività, che unisce il repertorio del periodo susseguente all'abbandono del fondatore Syd Barrett, che attirò le attenzioni di cineasti come Michelangelo Antonioni, con una svolta incipiente, come dimostrano i primi vagiti dell'epocale album "The Dark Side of the Moon", che ascoltiamo tra un'esecuzione live e l'altra.
Live at Pompeii non è solo un film-concerto, con la particolarità di non avere spettatori. È un'esperienza mistica e immersiva, che la versione del cinquantesimo anniversario restituisce nella magnificenza del 4K ricavato dal negativo originale, con l'audio remixato in 5.1 da Steven Wilson.
La brevità del girato tra le rovine da Maben comportò la necessità di integrare con altre scene e questo trasformò il film in un documentario ibrido, che alterna le suggestive riprese dal vivo a interviste a David Gilmour, Roger Waters e soci al lavoro nello studio di registrazione di Abbey Road, carpendo risposte tutt'altro che ovvie da artisti chiaramente consapevoli della propria statura. La nonchalance con cui i musicisti si presentano stride con gli assaggi di un album - "The Dark Side of the Moon" - destinato a vendere milioni di copie e diventare uno dei più famosi di sempre, trasformando quattro studenti di arte freak in star multimilionarie.
Il clou rimane ovviamente l'esibizione live, in cui prevalgono i brani che esasperano la teatralità (come "Careful with That Axe", Eugene e il suo urlo), tra gesti iconici - Waters che suona il gong in controluce, Gilmour che imita il canto dei gabbiani - e intense performance, inframmezzate da inquadrature dei mosaici romani o delle esalazioni vulcaniche di Pompei. Quando cominciano i rintocchi di Echoes (part 1) e il campo lunghissimo si restringe, mentre la macchina da presa si avvicina sempre più al gruppo, si completano il senso e l'enormità di un progetto ambiziosissimo. Quella che i Floyd hanno proposto musicalmente, d'altronde, è stata una rottura irreparabile dello status quo: niente più ritornelli e assoli secondo schemi predeterminati, bensì l'idea che con una strumentazione rock tradizionale si potessero concepire brani, o più spesso suite, immaginifiche e inafferrabili, con un andamento e dei saliscendi che ambiscono alla complessità di una partitura classica. Un'intuizione avveniristica nel 1971 e variamente imitata ma mai avvicinata nel mezzo secolo seguente.