QUEER

Locandina Un film di Luca Guadagnino. Con Daniel Craig, Drew Starkey, Lesley Manville, Jason Schwartzman, Henry Zaga, Omar Apollo, Andra Ursuta, Andrés Duprat, Ariel Schulman, Drew Droege, Colin Bates (II), Simon Rizzoni, Ford Leland, Ronia Ava, Radu Murarasu, Diego Benzoni, Francesco Lupo Sturani, David Lowery, Lisandro Alonso, Perla Ambrosini, Sean Cubito. Genere Drammatico - Italia, USA, 2024. Durata 135 minuti circa.Tratto dal romanzo di William S. BurroughsL'adattamento del romanzo omonimo di William S. Burroughs che racconta di un viaggio in Sud America e di un'ossessione sessuale che trasforma la vita di un uomo di nome Lee.di Tommaso Tocci


Trama

Nella Città del Messico dei primi anni cinquanta, l'americano William Lee vaga da un bar all'altro alla ricerca di uomini da portarsi a letto, nel frattempo facendo ampio uso di droghe e alcool. Nonostante un ristretto gruppo di conoscenze abituali, che comprendono il fidato amico Joe, Lee è alla ricerca di qualcosa che questi incontri occasionali non possono dargli. Un giorno però si imbatte per strada in Eugene, giovane e bello, forse gay, forse no. I due si imbarcano in una frequentazione che li porterà anche alla ricerca di una pianta, lo Yage, in grado di stimolare le abilità telepatiche.

Nel mezzo degli anni venti, Luca Guadagnino è il più vivo tra i grandi autori del cinema italiano, e quello che maggiormente ha dimostrato un eclettismo tale da disorientare il suo pubblico. Ormai fermamente parte dello zeitgeist internazionale, nello spazio di un anno dà seguito al giocoso e pulsante Challengers con un adattamento letterario dell'amato William S. Burroughs. La sua lettura di "Queer" è pensosa, sentimentale e immaginifica - più dell'opera originale della quale prosegue la storia troncata aprendo le porte della percezione; ma tra droghe magiche e spedizioni esotiche, il film ci ricorda che tali porte si rivelano spesso uno specchio, pronto a riflettere la profondità della nostra solitudine.

Lee è l'alter-ego di Burroughs, predatore dissoluto che, in un completo a tre bottoni bianco con tanto di fondina alla cintura, pattuglia i locali della città (nettamente più tranquilla e composta, quasi idilliaca nei suoi quadretti di strada e tramonti perfetti, di quella vissuta in prima persona da Burroughs) alla disperata ricerca del giusto amante: giovane, bello, e possibilmente non un bravo ragazzo ebreo troppo legato alla mamma. Lo interpreta un Daniel Craig dall'animo strizzato, molto più vulnerabile rispetto ad altri ruoli extra-Bond che semplicemente viravano la sicumera su toni comici o autoironici. Guadagnino ne ingentilisce i contorni, o forse si mette fino in fondo nei suoi panni, trovando un uomo alla ricerca di contatto umano che nell'attesa passa da una dipendenza all'altra.

Accarezzarsi senza toccarsi (in un tenero, ripetuto congegno visivo che sovraimpone il gesto alla stasi) e poi comunicare senza la parola, tanto da giustificare un viaggio nel Sudamerica profondo alla ricerca della telepatia: la tragedia di Queer, che smania sotto la satira iniziale sulla cultura americana expat, è quella di un amore sfalzato, asimmetrico. Lo rendono irrisolvibile questioni identitarie (siamo queer oppure no, è il leitmotiv che corre attraverso tutto il film) ma anche pragmatiche, visto che Eugene si offre e si ritrae, e alla fine accetta di seguire Lee nel viaggio previo un preciso accordo sui termini della sua disponibilità.

Il volto fresco di Drew Starkey disegna un oggetto amoroso ambivalente, dalla disposizione quasi distratta e dalle linee affusolate, contro le quali la mano di Craig si tende perennemente senza mai riuscire davvero a raggiungerle. La tristezza che fa da sottotesto alla prosa di Burroughs emerge naturalmente, ben protetta dal riguardo di un regista che sembra a volte rispettare troppo - per quella sua natura iconoclasta a cui ci ha abituato - il materiale d'origine, anche quando lo modifica. Guadagnino ingloba nel rapporto tra i due uomini perfino un riferimento alla morte della moglie di Burroughs, da lui uccisa per errore, evento invisibile che pure è legato a doppio filo alla scrittura della novella.

Ancora una volta attorno a lui ci sono i collaboratori abituali: scrive assieme a Justin Kuritzes dopo Challengers, si appoggia alla fotografia di Sayombhu Mukdeeprom e al montaggio di Marco Costa, e collabora con le firme d'eccezione Reznor e Ross alle musiche e il signor Loewe in persona Jonathan Anderson, che ai costumi può sbizzarrirsi sulle maglie in filato di Eugene e sui tagli ampi e spiegazzati a regola d'arte degli abiti di Lee. Eppure la sua impronta filmica cambia nuovamente, in uno shape-shifting che è ormai l'unica costante e dà prova di talento mescolando registri brillantemente diversi.