REFLECTION

Locandina Un film di Valentyn Vasyanovych. Con Roman Lutskyi, Andriy Rymaruk, Dmitriy Sova, Vasiliy Kukharskiy, Nadiya Levchenko, Igor Shulha, Nika Myslytska, Oleksandr Danyliuk, Stanislav Aseyev, Andrii Senchuk. Genere Drammatico - Ucraina, 2021. Durata 125 minuti circa.


Trama

Partito volontario per la guerra nel Donbass, il chirurgo di Kiev Serhiy finisce per errore nelle mani delle forze militari russe e viene fatto prigioniero. Tenuto in vita per le sue competenze mediche, l'uomo assiste impotente a scene di tortura e violenza inaudita, aiutando i suoi carcerieri a smaltire i cadaveri degli altri prigionieri torturati. Fra questi anche Andrii, nuovo compagno dell'ex moglie, molto amato anche da sua figlia, ragazzina innocente e ingenua. Tornato a Kiev, Serhiy sceglie di stare al fianco della figlia e di aiutarla ad accettare l'idea della morte di Andrii.

Dal regista di Atlantis, vincitore nel 2019 della sezione Orizzonti della Mostra di Venezia, una nuova riflessione sulla guerra nell'Ucraina orientale e sul rapporto fra normalità e orrore nella società contemporanea, tra la comodità della vita borghese e la violenza inaudita del fronte.

Giunto al suo quinto lungometraggio, il regista ucraino Valentyn Vasyanovych approda per la prima volta nel concorso ufficiale di un grande festival internazionale (Venezia 78). Merito del suo film precedente, Atlantis, immersione scioccante e visivamente indimenticabile nel trauma di una guerra senza nome e senza tempo, nella quale non è difficile scorgere il conflitto nel Donbass, che da anni prosegue indisturbato e ormai quasi accettato.
Reflection arriva come una consacrazione, come la conferma di una voce definita e riconoscibile (nel 2014 Vasyanovych ha firmato la fotografia di un altro film scioccante del recente cinema ucraino, The Tribe), capace di elaborare la realtà e la storia contemporanee in termini visivi e concettuali. Peccato che il film, nel momento in cui sceglie di riprendere la medesima impostazione stilistica di Atlantis e il medesimo punto di vista sulla guerra e le sue pratiche inumane (camera fissa e frontale rispetto agli eventi che mostra; sguardo impassibile, al limite del gratuito, su scene di crudeltà inaudita; rumori e suoni potenti e avvolgenti; costruzione concettuale dell'inquadratura, con legami di senso e conflitti fra primo piano e profondità di campo), mette a nudo i limiti di un approccio che rischia di estetizzare la violenza o, peggio ancora, di mostrarne la pura superficie.

Il segreto sta nel titolo, "reflection", cioè riflesso, parola dal quale nascono le immagini del film. Le inquadrature fisse e frontali hanno spesso al loro interno vetri, schermi, superfici trasparenti (bellissima la visione di un film attraverso il parabrezza di una macchina), con l'intento di sottolineare la condizione di sicurezza dei personaggi all'interno del loro mondo (nella prima scena del film, un vetro protegge gli spettatori dagli schizzi di una battaglia a colpi di pallottole che contengono pittura...). Nel momento in cui il film approda al fronte, il punto di vista della macchina da presa non cambia posizione, ma elimina ogni filtro: la violenza è sul corpo, la morte è presente e l'orrore è troppo grande per non lasciare segni.


Il protagonista Serhiy, che conosce la guerra perché ne cura i feriti, decidere di partire per il fronte per vedere, non solo per sentire, il conflitto. E una volta sopravvissuto, tornato nella normalità della sua vita a Kiev, si dà il compito di proteggere la figlia dall'impronta della morte, simboleggiata dal segno lasciato da un uccello schiantatosi contro il vetro del suo appartamento. La traccia resta ben visibile al centro di molte inquadrature e proprio nella sua evidenza racchiude il principale limite del film: l'evidenza di una riflessione sulla presenza della morte nel regno della vita - negli spazi di una metropoli contemporanea (e l'unica ripresa di Kiev all'aperto è un capolavoro di messinscena), nell'anima di un padre impotente, nel cuore di una figlia impreparata al dolore.

Nell'ultima scena di Reflection, Serhiy, l'ex moglie e la loro bambina, ritrovatisi come famiglia, giocano a riconoscersi reciprocamente di spalle, indovinando la presenza dell'uno o dell'altro dal rumore dei passi: per capire non usano gli occhi! Ancora una volta, la metafora del film è troppo evidente, troppo esposta, come se Vasyanovych, dopo aver costruito con immagini estremamente ricercate ed eccessivamente cariche di senso, invocasse per sé e lo spettatore il diritto a non guardare.