FORTUNA

Locandina Un film di Nicolangelo Gelormini. Con Valeria Golino, Pina Turco, Cristina Magnotti, Anna Patierno, Libero de Rienzo, Giovanni Ludeno, Marcello Romolo. Genere Drammatico - Italia, 2020. Durata 108 minuti circa.Una storia ispirata a fatti realmente avvenutiDa tempo la piccola Nancy vive chiusa in un silenzio che chi le sta intorno non sa spiegarsi. La verità è che custodisce un segreto doloroso, che un giorno rivelerà ad Anna e Nicola, i suoi amici del cuore.di Paola Casella


Trama

La bambina ha smesso di parlare. Si chiama Nancy, o forse Fortuna. Vive con la madre in un casermone della periferia del napoletano che è un non-luogo metafisico alienato e alienante, pieno di corridoi lungo i quali ci si perde, e dei quali non si vede la fine. La bambina frequenta una psicologa che cerca di capire perché non parli più. Sopra il casermone c'è un terrazzo dove si fanno feste rionali e dove i piccoli condomini giocano: fra questi Anna e Nicola, una bimba fantasiosa e un bambino bullizzato dai ragazzini più grandi. Tutti hanno segreti troppo giganti per essere raccontati. E tutti hanno paura del lupo.

Al suo esordio nella regia di un lungometraggio di finzione Nicolangelo Gelormini, già assistente di Paolo Sorrentino e regista di corti e video musicali, crea una fiaba nera non troppo lontana da quella immaginata dai fratelli D'Innocenzo in Favolacce (ma Fortuna è stato girato prima) e trasfigura eventi reali che verranno svelati solo alla fine.

La piccola protagonista vive due realtà parallele e sdoppiate: una ha i colori pastello e il formato 4:3, la madre è una bella signora educata e la psicologa una donna brusca e disinteressata a ciò che Nancy non può verbalizzare; l'altra occupa tutto lo schermo e ha tinte fosche, la madre è una sbandata concentrata su se stessa e sulle sue miserie, fra cui l'assenza coatta del marito, e la psicologa cerca di districare la matassa che tormenta Fortuna.

La trama si fa via via più complicata, ed è questo il principale problema di un film ben intenzionato e ricco di spunti interessanti, ma in cui la storia è subordinata all'immagine, e la comprensibilità è sacrificata al desiderio di mettere in campo tutto ciò che il regista sa fare con la cinepresa: un'overdose di suoni, colori, forme, simboli, angolazioni, dettagli.

Se l'atmosfera allucinata e la dimensione da incubo sono funzionali al racconto, l'insistenza sulle inquadrature artistiche, le composizioni millimetriche e le recitazioni stranianti distoglie dall'efficacia narrativa e mantiene in primo piano l'ambizione estetica del regista, che non ci permette mai di dimenticare la sua presenza in favore di ciò che viene narrato.

C'è un indubbio talento nella mano di regia di Gelormino e un genuino tentativo di trasfigurare l'orrore, ma la grammatica filmica è ridondante, spesso forzata e pretenziosa. Un intervento produttivo più importante avrebbe forse contenuto i virtuosismi registici e le contorsioni della trama per rendere il risultato più accessibile e meno barocco.

Lavorare sulla cronaca nera rielaborandola attraverso la finzione cinematografica (come hanno fatto ad esempio Fabio Grassadonia e Antonio Piazza in Sicilian Ghost Story) è sempre un gesto di coraggio, e il coraggio nel cinema italiano è necessario. Ma Fortuna è eccessivamente intorcinato e innamorato della propria estetica a metà fra horror e fantascienza, dimenticando che spesso meno è meglio, soprattutto se si tratta di affrontare temi di primaria importanza.