Un film di Tobe Hooper. Con Allen Danzinger, Marilyn Burns, William Vail, Jim Siedow, Teri McMinn, Edwin Neal, Gunnar Hansen, John Dugan, William Creamer, John Henry Faulk, Jerry Green, John Larroquette. Genere Horror - USA, 1974. Durata 87 minuti circa.Un grande classico del cinema horrorUna famiglia di macellai, minata da tare ereditarie, prima seziona i cadaveri d'un cimitero texano, poi stermina una comitiva di gitanti.di Rudy Salvagnini
Un gruppo di giovani spensierati - Sally e il fratello disabile Franklin, Jerry, Kirk e Pam - in viaggio a bordo di un furgoncino si imbatte in uno strano autostoppista dalle idee apparentemente confuse e dalle pulsioni prima autolesionistiche e poi minacciose. Forti del numero e convinti che il tizio sia solo uno stralunato inoffensivo, i ragazzi lo cacciano dal furgoncino e proseguono nel loro viaggio, diretti a una casa, adesso abbandonata e in rovina, di proprietà della famiglia di Sally e Franklin. Quello strano incontro però è solo la prima avvisaglia di un avvicinamento inevitabile al Male che alberga nel profondo Texas e si incarna in una feroce famiglia di macellai.
Assieme a La notte dei morti viventi (e in misura minore a L'ultima casa a sinistra), Non aprite quella porta è uno dei piccoli film indipendenti che hanno cambiato per sempre il volto dell'horror, colorando di tinte cupe quello che restava del sogno americano.
La forza della metafora - con l'istituzione familiare disintegrata e malevola a rappresentare le istituzioni prevaricatrici - emerge con una violenza e una ferocia inusitate per i tempi, tracciando un segno che molti avrebbero poi seguito, anche se soprattutto nei suoi tratti più esteriori e superficiali. Ma di questo non si può fare una colpa a Tobe Hooper che in questo film è in uno stato di grazia che non gli fa sbagliare un colpo e gli consente di firmare un film che, nel suo genere, rasenta la perfezione. Truce e "cattivo" più in quello che insinua che in quello che effettivamente mostra, Non aprite quella porta traccia un preciso ritratto di una società malata sin nelle fondamenta, mettendo a confronto un gruppo di giovani ingenui e libertari (ma non senza contraddizioni, come dimostra la sostanziale messa in disparte del ragazzo disabile) con una visione deforme e sarcasticamente mostruosa di una classica famiglia benpensante attaccata alle tradizioni.
Hooper (1943-2017), qui al suo secondo lungometraggio per il cinema, mostra una grande capacità narrativa e una notevole forza visuale, riuscendo a generare una tensione costante e a creare un'icona duratura e persistente nella memoria degli spettatori come Leatherface, uno dei villain più bestiali e belluini dell'horror moderno. Pur avendo poi una lunga e variegata carriera con anche alcune punte di qualità e di successo, come per fare solo un esempio Poltergeist - Demoniache presenze, Hooper non sarebbe più riuscito a ritrovare la stessa grande ispirazione e la verve creativa che caratterizzano questo film, la cui lunga ombra si sarebbe perpetuata non solo con le innumerevoli imitazioni, ma anche con una moltitudine di seguiti e remake, alcuni validi altri meno, ma nessuno dei quali sarebbe riuscito ad avvicinare la potenza espressiva e gli esiti drammatici di questo capostipite che ancora oggi mantiene intatta la sua efficacia anche a livello di puro intrattenimento, rappresentando un perfetto meccanismo mirato alla creazione di un'atmosfera di puro terrore dove le potenziali vittime sono realmente carne da macello.
L'incontro con l'autostoppista, bizzarro e minaccioso, stabilisce sin dall'inizio, in modo magistrale, il clima inquietante del racconto. Dopo una prima parte apparentemente tranquilla, ma punteggiata da chiari elementi di inquietudine, il film prende velocità e nella sua seconda metà è un ininterrotto viaggio nell'horror più selvaggio, che si mantiene per lunghi tratti all'insegna di un crudo realismo per poi scalare le vette di un grottesco efficacissimo nella delirante scena della cena di famiglia cui Sally è costretta a partecipare. Paradigma inarrivabile dell'horror rurale, si conclude in modo simbolico e disturbante, con poche parole, lasciando tutto alla forza delle immagini.
Da segnalare anche l'efficace uso di musica ed effetti sonori stranianti e dissonanti a cura dello stesso Hooper e di Wayne Bell, mentre la country music diegetica fornisce un sottofondo falsamente tranquilizzante che in realtà serve a delineare ancor più il languore retrogrado della cultura locale.
Anche un cast di sconosciuti fa bene la propria parte: Gunnar Hansen è l'epitome del mostro grazie anche a una mimica perfetta, Marilyn Burns è una final girl da antologia, mentre Jim Siedow ruba la scena con una caratterizzazione di grande incisività e pura malignità.