MADRE!

Locandina Un film di Darren Aronofsky. Con Jennifer Lawrence, Javier Bardem, Michelle Pfeiffer, Ed Harris, Domhnall Gleeson, Jovan Adepo, Cristina Rosato, Brian Gleeson, Stephen McHattie, Kristen Wiig, Stefan Simchowitz. Genere Drammatico - USA, 2017. Durata 120 minuti circa.


Trama

Lei si è trasferita nella grande casa isolata in mezzo ai campi di grano per amore di Lui, e poiché la casa di Lui è stata completamente distrutta da un incendio, lei gliela sta ricostruendo intorno pezzo dopo pezzo, con determinazione e concretezza. Lui, invece, non riesce a superare il blocco che gli impedisce di scrivere e passa le giornate davanti alla pagina bianca. I suoi libri giacciono allineati sui ripiani di casa, ma il Poeta sembra aver perso l'ispirazione, e a nulla servono gli incoraggiamenti amorevoli di Lei. E mentre Lei desidera ardentemente costruire con Lui una famiglia, Lui si concentra ostinatamente sul proprio sterile horror vacui.

Finché nella casa isolata irrompe uno sconosciuto, che porta con sé una serie di invasori sempre più numerosa. E Lei vede gradualmente profanato quello spazio sacro che aveva edificato con totale abnegazione personale.


"Comincerò dall'Apocalisse", dirà ad un certo punto Lei, e davvero Mother! è una corsa a perdifiato verso una sorta di Armageddon, inteso sia come fine che come inizio.

Siamo in pieno territorio Aronofsky, autore che in ognuno dei suoi lavori precedenti, da quelli più imbarazzantemente esoterici (The Fountain) a quelli apparentemente più minimalisti (The Wrestler), mostra una capacità straordinaria di impossessarsi del kitch e usarlo come grimaldello per dissotterrare verità nascoste. Ed è proprio a Le verità nascoste che Mother! paga il suo debito cinematografico più evidente, complice anche la presenza nel cast di una Michelle Pfeiffer che rende gustosamente demoniaco il proprio personaggio "white trash": così come il thriller di Robert Zemeckis raccontava la differenza all'interno di una coppia fra una donna alla ricerca di segreti scomodi e pericolosi che si vorrebbero tenere sotto il tappeto (e di tappeti ce ne sono tanti anche in Mother!) e un uomo che ottusamente protegge lo status quo, anche coniugale, di cui è beneficiario secolare.


Mother! si spinge oltre nella direzione indicata esplicitamente dal suo titolo (in particolare dal suo punto esclamativo) e procede a contrapporre la natura femminile materna come istintivamente generosa e quella maschile come immolata al proprio egoismo (pro)creativo, quello con cui il maschile cerca di assicurarsi l'eternità senza essere in grado di partorire nulla di biologicamente vitale. All'interno di un quadro di Andrew Wyeth, quintessenza dell'America "benedetta da Dio", Aronofsky costruisce una ragnatela demoniaca attraverso lo sguardo di Lei, creando un universo tattile e materico sempre pronto a trasformarsi in (pre)visione onirica cui Lei è incapace di sottrarsi, cospargendo di sangue e frammenti corporei il pavimento e le pareti di quella casa che è proiezione concreta del desiderio di possesso ed esclusività al centro di (molto) amore femminile.
Raramente si è vista sullo schermo une descrizione così vivida del sentimento di violazione del proprio spazio privato, così come raramente è stato raffigurato il panico di trovarsi in mezzo ad una lite furibonda, o a uno sconfinamento domestico di natura violenta. Se dal punto di vista della plausibilità narrativa Mother! ci abbandona dopo la prima mezz'ora, dal punto di vista della rappresentazione metaforica ci trascina con sé fino all'epilogo finale che ne rivela la natura olistica. E le scene d'azione sono una grande prova di regia e di montaggio, indipendentemente dalla loro credibilità (o gradevolezza) di superficie.

Aronofsky edifica una costruzione chiusa nella quale taglia continuamente spiragli che rimandano ad altro (sapendo che la qualità di "rimando ad altro" è caratteristica della poesia cui il protagonista del suo film immola la propria esistenza) e restituisce al pubblico alcune delle sue preoccupazioni personali più presenti: la difficoltà di essere padre, il potere fagocitante del narcisismo artistico, il rapporto con la popolarità, in egual misura seducente e letale. E sceglie le giuste fisicità per i suoi protagonisti - solida e terragna Lei (Jennifer Lawrence), sfuggente e ambiguo lui (Javier Bardem) - affidando loro il compito di addentrarsi nel campo della dark comedy più che dell'horror, della parodia di genere più che del genere stesso, piegando la vicenda ai suoi scopi metafisici, dando forma ad uno spazio intimo per poi violentarlo ripetutamente con incursioni esterne e programmatica incuria.

Lo spettatore è costretto ad aderire allo spaesamento di Lei, che solo dopo un'ora di racconto grida "Uscite!" alle presenze (vere o immaginate) che la assalgono (e in inglese "Get out!" significa anche "scappa", come ha ricordato un recente horror altrettanto metafisico). La realtà che Lei fabbrica e vede ripetutamente demolita, facendosi beffe del suo tentativo di "sigillare le porte" ed escludere il resto del mondo, è allo stesso tempo una fortezza e una prigione; la sua generosità procreativa corrisponde perfettamente all'infinita capacità di Lui di accettare ogni sacrificio come un regalo che richiede gratitudine, ma non reciprocità. "Io sono io, tu sei la casa", dirà Lui, ben più lucido di Lei nel capire dove sta la loro differenza. E ancora una volta è un corpo femminile il terreno di raccolta cui un autore attinge (depredandolo) per raccontare il lato oscuro della natura umana.